La ragazza nel labirinto pakistano

Aprile 14, 2011 0 Di Momo

Un mio affezionato lettore che fa il professore nella zona di Brescia, sta vivendo una situazione molto delicata con una sua alunna. Per dare voce a questo caso, ha scritto una lettera che ha spedito a vari quotidiani tra cui Brescia Oggi. Poi ha scritto a me chiedendomi di pubblicare la stessa lettera su Squarciomomo. E io con onore per la scelta del mio blog, ve la riporto sperando possa smuovere qualcosa o qualcuno.

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Gent.mo sig. direttore, vorrei esternare tutto il mio malessere, la mia frustrazione, il mio senso d’impotenza di fronte a un’ingiustizia di dimensioni inimmaginabili, non misurabili, al di là dell’umano.

Sono un docente di un istituto superiore di Brescia, frequentato da un consistente numero di alunni stranieri: indiani, pakistani, marocchini e magrebini di varia provenienza; ogni giorno mi immergo in questo bacino di differente umanità che, glielo assicuro, tanto arricchimento e cultura «trasversale» mi ha saputo regalare per tutta la durata di quest’anno scolastico ormai agli sgoccioli.
Fra le mie classi di competenza ce n’è una, una prima superiore, appartenente al nuovo indirizzo triennale di corsi regionali, i cosiddetti IPeF: fra gli alunni, uno più prezioso e splendido dell’altro (anzi, dovrei parlare al femminile, visto che le «quote azzurre» qui si distinguono per un solo esemplare!), c’è J. Non scriverò il suo nome, e non lo farò per rispetto perché temo, e temo fortemente, che anche il solo aggiungere un sospiro possa peggiorare la situazione di quest’anima.
J. è una ragazza dolce, sensibilissima, dall’intelligenza cristallina e dalla voglia di studiare, di capire, di partecipare davvero encomiabili (cari colleghi professori, di quanti dei nostri alunni «nostrani», privi dell’ostacolo linguistico in sé, potremmo dire lo stesso?). J., dopo una situazione di partenza difficoltosa dal punto di vista didattico, ha saputo da sola risollevare le proprie sorti, arrivando ad avere un pagellino infraquadrimestrale immacolato, corredato da una condotta irreprensibile. J. però ha un «difetto»: è bellissima. Di una bellezza magnetica, arcana, indescrivibile. E questo, si sa, spesso diventa una condanna.
J. da più di una settimana non viene a scuola. Ha interrotto la frequenza a causa, a quanto ci è dato saperne (ma, ahinoi, siamo nel campo del «sentito dire»), del volere dei famigliari, ai quali sarebbe venuto all’orecchio di sguardi, innamoramenti, dediche d’affetto inconcepibili per l’onore di genitori e fratelli, i quali l’avrebbero promessa in sposa a un individuo mai visto che sta nella sua lontana terra natia. I compagni si chiedono intimoriti che fine abbia fatto J., noi insegnanti, insieme alla scuola, proviamo incessantemente a contattare la famiglia ai recapiti telefonici forniti, ma niente da fare. Le ultime notizie arrivateci parlano di un «rientro forzato» in Pakistan, previsto nei prossimi giorni, destinato quindi ad allontanarla per sempre da tutto quello che J. ha trovato qui.
Grazie al cielo non si deve e non si può far di tutta la proverbiale erba un unico fascio, ed esempi di apertura e tolleranza in tal senso sono altresì all’ordine del giorno, ma è altrettanto vero che questo caso particolare non solo è critico… è attuale, vero, imprescindibilmente reale.
Lo sa, sig. direttore, qual è di tutta questa storia la cosa che davvero non riesco a mandare giù, quasi fosse non solo un boccone dal cattivo sapore, ma un bolo davvero troppo grande per transitare nell’esofago? Il fatto che proprio nel suo ultimo weekend di scuola, parlando con me, lei si lasciasse andare dicendomi di quanto sia «limitante, triste, brutto essere una ragazza pakistana» di quell’età, il dover «vivere per l’onore della propria famiglia e non per sé», il non poter avere la benché minima «libertà di andare, di dire, di fare»; e io a cercare di rincuorarla, a dirle che anche da noi, basta guardare indietro qualche decennio, le donne non godevano di tutta la sacrosanta libertà che è possibile riscontrare oggi in giro e nelle case… che debba arrendermi all’evidenza? Che avesse davvero ragione lei?
Voglio concludere questa lettera con un saluto proprio a J.: lo scorso weekend, lavorando sul Quotidiano in Classe, abbiamo analizzato la rubrica delle Lettere al Direttore. In quell’occasione mi sono premurato di spiegare ai ragazzi che questa è «una delle espressioni della libertà di ciascuno, che con educazione e motivando le proprie opinioni ha la possibilità di far sapere agli altri il proprio punto di vista». Se J. possa leggermi non lo so, ma quello che spero con tutto me stesso è che le arrivi anche solo un decimo del sentimento di profonda affezione che provo nei suoi confronti. Anche noi insegnanti, così vituperati dall’opinione pubblica dopo i tanti scandali che si sentono ciclicamente dai media, ne siamo ancora, secondo alcuni imprudentemente, capacissimi.
F. M.
DOCENTE – BRESCIA

Siamo nel 2011, ma evidentemente non è così per migliaia e migliaia di ragazzi che ancora oggi non sono liberi di scrivere il proprio futuro in libertà. Buona fortuna J. La foto del post è generica e nulla c’entra con J.