La banale e insensibile campagna di Hyundai Veloster
Vi prego di leggere questa lettera, pubblicata sul Corriere della Sera di oggi.
Da alcuni giorni a Milano in piazza Sant’Agostino un’enorme pubblicità di un nuovo modello di automobile copre l’intera facciata di un edificio. Il cartellone è studiato per colpire con forza lo sguardo e comunicare l’idea che l’acquisto di quel veicolo costituirà la realizzazione definitiva di quelle pulsioni trasgressive che oggi sembra indispensabile esibire per stare al mondo. Lo slogan è di quelli già sentiti, ma non potrebbe essere più esplicito «L’unica regola è che non ci sono regole». Riferito all’auto, cioè all’oggetto tecnico che più problemi crea alla vita collettiva delle nostre città, che più morti causa nelle nostre strade, quello slogan dà i brividi. La gente che attraversa la piazza sotto l’enorme cartellone è ridotta a dimensioni minuscole, schiacciata da una presenza fuori scala. Tutti sembrano indifferenti al cartellone, alla volgarità delle sue dimensioni e all’oscenità del suo messaggio. Il cartellone impone semplicemente se stesso e la sua legge al mondo. Alieno e disumano, i milanesi che ci camminano sotto sembrano solo poterlo subire. Provate ad andarci e ditemi se non avrete quella sensazione anche voi. A pochi metri da lì, in via Solari, è morto dieci giorni fa mio figlio mentre tornava a casa in bicicletta. Ai piedi di un albero sul marciapiede, ci sono fiori e parole per ricordare Giacomo. Sono rimasto a lungo lì con il mio dolore, cercando di trarre una speranza dagli sguardi dei passanti, dai gesti rallentati di chi si ferma, dalle due parole scambiate davanti ai fiori. Tutto ciò mi sembra esprimere quel senso di comune appartenenza di tutti noi che lottiamo ogni giorno silenziosamente per dare senso alle nostre vite. So che i milanesi devono poter contare su questo senso di comune appartenenza, e che dobbiamo aiutare le istituzioni cittadine in questa direzione. È un compito di comune civiltà, non tiriamoci indietro.
Davide Scalmani, papà di Giacomo
E come non dare ragione a Davide, ex papà di un ragazzino che innocentemente stava tornando a casa da scuola e che è stato coinvolto in un incidente stradale? La prepotenza con cui sempre più spesso usiamo le auto, ci sta rendendo tutti dei potenziali assassini su 4 ruote. Meglio meditare su questa cosa, meglio meditare prima che sia stato passato il segno. Un grande abbraccio a Davide e un pollice verso ai creativi di Hyndai che se ne potevano uscire con una frase meno banale e scontata di questa.
La banale e insensibile campagna di Hyundai Veloster
Vi prego di leggere questa lettera, pubblicata sul Corriere della Sera di oggi.
Da alcuni giorni a Milano in piazza Sant’Agostino un’enorme pubblicità di un nuovo modello di automobile copre l’intera facciata di un edificio. Il cartellone è studiato per colpire con forza lo sguardo e comunicare l’idea che l’acquisto di quel veicolo costituirà la realizzazione definitiva di quelle pulsioni trasgressive che oggi sembra indispensabile esibire per stare al mondo. Lo slogan è di quelli già sentiti, ma non potrebbe essere più esplicito «L’unica regola è che non ci sono regole». Riferito all’auto, cioè all’oggetto tecnico che più problemi crea alla vita collettiva delle nostre città, che più morti causa nelle nostre strade, quello slogan dà i brividi. La gente che attraversa la piazza sotto l’enorme cartellone è ridotta a dimensioni minuscole, schiacciata da una presenza fuori scala. Tutti sembrano indifferenti al cartellone, alla volgarità delle sue dimensioni e all’oscenità del suo messaggio. Il cartellone impone semplicemente se stesso e la sua legge al mondo. Alieno e disumano, i milanesi che ci camminano sotto sembrano solo poterlo subire. Provate ad andarci e ditemi se non avrete quella sensazione anche voi. A pochi metri da lì, in via Solari, è morto dieci giorni fa mio figlio mentre tornava a casa in bicicletta. Ai piedi di un albero sul marciapiede, ci sono fiori e parole per ricordare Giacomo. Sono rimasto a lungo lì con il mio dolore, cercando di trarre una speranza dagli sguardi dei passanti, dai gesti rallentati di chi si ferma, dalle due parole scambiate davanti ai fiori. Tutto ciò mi sembra esprimere quel senso di comune appartenenza di tutti noi che lottiamo ogni giorno silenziosamente per dare senso alle nostre vite. So che i milanesi devono poter contare su questo senso di comune appartenenza, e che dobbiamo aiutare le istituzioni cittadine in questa direzione. È un compito di comune civiltà, non tiriamoci indietro.
Davide Scalmani, papà di Giacomo
E come non dare ragione a Davide, ex papà di un ragazzino che innocentemente stava tornando a casa da scuola e che è stato coinvolto in un incidente stradale? La prepotenza con cui sempre più spesso usiamo le auto, ci sta rendendo tutti dei potenziali assassini su 4 ruote. Meglio meditare su questa cosa, meglio meditare prima che sia stato passato il segno. Un grande abbraccio a Davide e un pollice verso ai creativi di Hyndai che se ne potevano uscire con una frase meno banale e scontata di questa.