Il giro della Tofana di Rozes (2)
Qui la prima parte.
Osservo meglio le guglie che ho sopra la mia testa e verso cui mi sto recando, e vedo un rifugio incastonato tra le rocce. Incredibile dove sia stato costruito! E’ il Rifugio Tofana, caduto in disuso dopo la fine del conflitto militare del 1915 e chiuso dal 1972. Ma su questo argomento tornerò appena sarò arrivato là sopra.
Altri due passi e in terra scorgo una nuova compagna di viaggio: la neve. E’ quella caduta gli scorsi giorni e che per fortuna si è quasi sciolta tutta. Speriamo che dietro la Tofana ci sia il sentiero sgombro, altrimenti dovrò rinunciare a fare il giro.
Sto salendo sui tornanti ripidi del ghiaione accanto alla Tofana. Fa caldo e mi sto disidratando velocemente.
Sulla mia destra, grazie al fatto che mi sto notevolmente alzando di quota, posso vedere in lontananza la Marmolada. Eccola con il suo ghiacciaio esposto a nord-est. A fianco, la punta aguzza del Gran Vernel.
Salendo mi sono portato all’altezza dell’inizio del ghiaione che parte dalla parete sul della Tofana. E’ la zona dove ho visto il camoscio.
Proseguo per il largo ma ripido sentiero che porta in quota.
Alle mie spalle vedo sempre più panorama. Partendo da destra, c’è il Monte Averau, poi il Nuvolau, davanti a lui il Cinque Torri, più a sinistra i lastoni di Formin e infine, parte dello stupendo gruppo Croda da lago, che poi vedremo in fase di tramonto.
Nel frattempo la neve sul sentiero aumenta. Mannaggia, e se a nord della Tofana è tutto imbiancato? Sarà durissima proseguire, anche perchè so che da quella parte, in un punto in particolare, il sentiero non è molto simpatico.
Ora sono sotto le guglie. E’ meraviglioso. La quota è intorno ai 2500 metri.
Davanti a me posso vedere il sentiero che serpeggia tra le rocce e scompare. Devo scollinare là sopra, dove incontrerò il rifugio Giussani.
Per la prima volta posso vedere la parete nord della Tofana di Rozes. Ha si della neve, ma non tanta quanto pensavo. Forse mi va bene e riesco a fare il giro.
Le torri di roccia sono talmente sopra di me che mi sembra mi cadano in testa.
Eccomi vicino allo scollinamento.
Il sentiero è delimitato da tronchi che evitano il cedimento del terreno.
Sono oltre i 2500 metri di quota.
Eccomi sulla forcella. Davanti a me vedo il piccolo villaggio militare che risale ai tempi della grande guerra.
Si vede il Rifugio Tofana, lo stesso che vedevo dal ghiaione, e di fianco a lui c’è l’ex rifugio Cantore, anche questo abbandonato da tempo.
Arrivati a questo punto del percorso, mi sembra doveroso fare un piccolo e breve accenno a ciò che è successo qui durante la prima Guerra mondiale, non fosse altro che per ricordare i tanti soldati caduti per la madre patria. Intervallerò le mie immagini della zona con la storia presa da Wikipedia.
Come gran parte delle cime cadorine e altoatesine, le Tofane furono teatro di cruenti scontri armati tra truppe italiane e austro-ungariche durante il corso della Prima guerra mondiale. Nel 1915 all’entrata in guerra dell’Italia, il fronte meridionale austriaco si trovava completamente sguarnito, e per questo i comandi militari asburgici decisero di abbandonare l’Ampezzo per trincerarsi in posizioni strategiche meglio difendibili. Lo Stato Maggiore austro-ungarico, conscio dell’insufficienza di uomini e difese, si era già rassegnato alla perdita del Sud Tirolo.
L’ala sinistra della 4ª armata italiana, risalito il Cadore e occupata Cortina d’Ampezzo (29 maggio 1915), cominciò ad assediare le roccaforti nemiche sui versanti meridionale e orientale delle Tofane, fino ad impadronirsi, il 7 luglio di Cima Bois e Forcella Bois. Il 15 luglio, giunta l’artiglieria pesante, gli italiani cominciarono a bombardare le linee di difesa austriache; il 20 dello stesso mese, perse la vita sul massiccio il generaleAntonio Cantore, comandante della 2ª divisione italiana, freddato dal fuoco nemico durante un giro di ricognizione.
Dopo un lungo periodo di stallo, con continui bombardamenti e numerosi morti e feriti da entrambi gli schieramenti, un commando di audaci volontari feltrini, guidati dal tenente Dazio De Faveri, riuscì ad impossessarsi della vetta della Tofana di Rozes. Tuttavia, tra quest’ultima e la Cima Bois resisteva tenacemente il cosiddetto “Castelletto”, un torrione roccioso affacciato sulla Val Travenanzes, del tutto inaccessibile dal basso, che rimase in mano austriaca fino all’ 11 luglio 1916 quando gli italiani lo fecero saltare con una poderosa mina da 35 tonnellate di esplosivo: in quell’occasione perirono circa 150 soldati ungheresi e austriaci. Ma il fronte non avanzò.
Tra il luglio e il settembre del ’16, i militari del regio esercito italiano continuarono gradualmente l’avanzata sul massiccio, respingendo gli asburgici sulla linea Lagazuoi–Furcia Rossa e rafforzando l’invasione della Val Travenanzes sul versante occidentale, conquistando il cosiddetto “masaré” tra le Tofane di Rozes e di Mezzo, e raggiungendo i 2.886 m s.l.m. della Tofana de Inze. Il fronte sul massiccio rimase in stallo fino al novembre del 1917, quando, a seguito della Disfatta di Caporetto, i soldati italiani combattenti in tutto l’Ampezzo furono richiamati d’urgenza a sud e costretti ad abbandonare le proprie posizioni, per creare un nuovo fronte sul fiume Piave, sul quale l’esercito austro-ungarico avrebbe trovato l’anno successivo la sconfitta totale e definitiva.
Mi allontano dal villaggio militare dopo esserci passato dentro più volte. Ma i reperti della guerra non sono finiti. Mi addentro verso il retro della Tofana di Rozes e il rifugio Giussani che è molto vicino.
Posso già scorgerne il tetto da dove sono ora.
Da qui posso vedere anche tutta la parete nord della Tofana. La neve c’è ma non è tanta.
per fortuna è libera dalla neve anche la strada che devo percorrere tra poco.
Prima di iniziare a scendere incontro l’esatto punto in cui è stato ucciso il famoso generale Cantore. E’ un luogo denso di emozioni e ricordi.
me fermo per un attimo in silenzio.
Come un piccolo e macabro museo all’aperto, vedo raccolti qui alcuni frammenti di quei terribili anni: ci sono pezzi di suole, filo spinato, latte varie e ossa.
E’ giunta l’ora di proseguire. Sono le 12.26 e ho una certa fame, ma prima di mangiare voglio arrivare il Val Travenanzes dove avrò un praticello sotto il mio sedere. E non dura e fredda roccia! 🙂 Il sentiero prosegue in discesa in mezzo ad una città fatta completamente di roccia.
Lungo il cammino, continuano incessanti gli avvistamenti di filo spinato e ruderi di guerra.
Sotto i miei piedi la roccia è frantumata in piccole schegge.
I miei scarponi muovono i piccoli frammenti e dal rumore che fanno sembrano fatti di vetro.
incontro altre postazioni militari. Siamo a circa 2500 metri di quota. Chissà quanti giovani ragazzi hanno perso la vita tra queste rocce, magari sfiancati dal gelo piuttosto che dal fuoco nemico.
Proseguo. Il mio giro prevede una ripidissima discesa verso la Val Travenanzes. Eccola là sotto!
Alla mia destra compaiono le Cime di Furcia Rossa. Fantastiche!
Inizio a scendere di brutto. Qui all’ombra fa decisamente freschino!
C’è un po’ di neve sul sentiero.
E anche un po’ di ghiaccio.
Arrivo ad un importante bivio. Da qui in poi dovrò affrontare un salto di roccia di circa 150 metri. per farlo ho due possibilità: la via ferrata (ma non sono attrezzato) e il sentiero 403. Naturalmente opto per il secondo.
Sotto di me la Val Travenanzes si apre sempre di più. A vederla da qui è decisamente selvaggia.
Ecco da dove dovrò scendere. Decisamente ripidina la storia!
Passo attraverso scalette e strettoie.
Dopo 20 minuti, sbuco sul fondo valle.
Ora il mio stomaco urla vendetta. Sono in cammino da oltre 4 ore e direi che è giunta l’ora del rancio!
Alla prossima puntata. Ocio, fotograficamente parlando il meglio deve ancora venire!