Alla forcella dei campanili (Latemar) (1)
Questa mattina mi sono alzato alle 7 e dopo una veloce colazione sono partito alla volta del gruppo del Latemar, il massiccio dolomitico più vicino a casa mia.
In meno di 20 minuti ero sul posto, ai piedi delle seggiovie che portano in quota.
Il mega parcheggio che d’inverno è sempre super affollato, si presenta completamente vuoto.
Questi luoghi non c’è dubbio che attirano molto di più quando a ricoprirli non è uno sterminio di fiori alpini, ma una metrata di neve fresca.
Io invece li preferisco nettamente così.
Nello zaino oggi ho messo, oltre alle solite cose, anche il casco e l’attrezzatura per ferrate, beveraggio in abbondanza, data la scarsità di fonti d’acqua nella zona. Scendo dalla macchina e parto. Sono le 8.20.
Dopo pochi passi mi tolgo subito i pantaloni lunghi (c’è già una discreta temperatura, 21 gradi). Inizio la salita percorrendo al contrario una pista da sci e a lato incontro un gruppo di belle fanciulle!
Si sale subito di quota.
Il cielo è terso e l’aria è profumata… a dire il vero c’è anche un certo odorino di ricordini di mucca. Ecco perchè qui i Botton d’oro crescono così rigogliosi!
La mia prima meta è li sopra. Il rifugio Torre di Pisa, a 2671 metri.
Salgo percorrendo strade sterrate circondate da natura incontaminata.
Ad un certo punto però sento un certo dolore al tallone del piede destro e poco dopo anche a quello sinistro. Che succede?
Proseguo fino ai due rifugi che so essere a pochi minuti davanti a me. Mi sa che mi si son formate delle vesciche a tempo zero. Cacchio, son solo 20 minuti che cammino, com’è possibile?
Arrivo al rifugio e quasi non riesco a camminare, anche perchè in salita il piede poggia completamente sul tallone. Entro e chiedo gentilmente un cerotto. Esco, mi siedo nei prati e mi metto il cerotto nel tallone destro, quello più conciato. Inizio a pensare che i miei scarponi nuovi mi abbiano fregato, oppure che sia stata colpa delle calze troppo sottili, oppure ancora dei miei piedi non più abituati alla durezza degli scarponi (sono vari mesi che non li metto).
Sta di fatto che non se ne parla neppure di tornare a casa. Guardo verso la mia prima meta e da qui riesco a vedere solo ed unicamente un mega pratone in salitissima.
Non riesco manco a vedere dove sia il sentiero, eppure dovrebbe essere davanti a me! In ogni caso mi metto in marcia, perchè la direzione è sicuramente avanti dritto a me. Il dolore ai talloni è lancinante ma cerco di non pensarci, magari più tardi passerà.
Mi distraggo fotografando fiori, e vi giuro che c’è da perderci la testa da tanta varietà incontro in pochissimi metri. Qui la natura si è svegliata da poche settimane e le fioriture sono nel pieno dell’attività.
La Negritella.
La Knautia.
Il Geranio selvatico.
L’Arnica.
La Campanula barbata.
Il trifoglio alpino.
L’Astro alpino.
Il Timo.
L’Anemone alpina
La Ginestrina.
La Silene.
La Vulneraria.
La Pedicularis Verticillata.
Tutto sto popò di roba in meno di 100 metri di prato!
Nel frattempo salgo senza trovare ancora il sentiero. Le rocce si avvicinano.
Pochi passi e… pum, ecco il sentiero. Te credo che non lo vedevo, è infossato!
Se questo posto, vi sembra un soffice luogo per riposare il vostro sederino dopo tanto camminare, ripensateci immediatamente e non fatevi ingannare dall’apparenza, perchè quest’erba punge più di un riccio incazzato.
Le vesciche fanno male, ma la bella giornata e i luoghi che andrò a vedere mi spingono avanti.
Mi guardo indietro. Il fondo valle è già parecchio lontano. Intorno a me si sentono solo i rumori della natura e qualche piccola voce in lontananza. Con l’andar del giorno gli escursionisti aumenteranno sempre più.
Il sentiero si trasforma in una mini stradina.
E per vedere dove va a finire, vi aspetto al prossimo post!
(TPP) 1 ora e 50 minuti.