A San Nicolò aggrappato ai ciuffi d’erba

Novembre 28, 2009 0 Di wp_14635186

Mi alzo presto, sono le 7 circa. Metto l’acqua del tè a scaldare nel bollitore e guardo fuori dalla finestra. Il cielo è completamente sereno e la temperatura è di -2 gradi. Ottimo! Faccio colazione, preparo lo zaino e parto. Passo velocemente dal panettiere del paese per prendere una ciabattina fresca e un krapfen con marmellata. Veloce mi rimetto in auto e mentre vado verso la Val San Nicolò mi godo la quiete del mattino e il profumo di pane fresco che riempie a poco a poco l’abitacolo. In 25 minuti sono in zona. La strada che porta nel cuore della valle si stringe piano piano e aumenta la neve ai lati. E’ quella caduta una decina di giorni fa che col freddo è rimasta qui. .Ad un certo punto decido che è meglio proseguire a piedi e parcheggio l’auto in una piazzuola deserta.
Sono completamente da solo da queste parti, scendo dalla macchina e “tocco con mano” il gelo di questa conca a 1500 metri.
Inizio a salire a piedi verso l’imbocco della Val San Nicolò.
Dopo una decina di minuti eccomi all’inizio della valle.
La val San Nicolò mi piace particolarmente e ci vengo spesso perchè è una valle chiusa senza sbocchi stradali, non ci sono auto (specialmente fuori stagione), è disseminata di fienili e piccole baite e ha un bosco bellissimo, misto di larici e abeti con un alto numero di animali che lo popolano. Un sogno insomma.
Cammino veloce anche perchè fa un certo freddino. Credo ci siano -3 gradi grosso modo. Mi guardo indietro e vedo il sole ancora basso che inizia ad illuminare il lato sinistro della valle.
Nel silenzio assoluto proseguo e intanto penso a quale sarà la mia metà di oggi.
Ecco uno scatto rasente alla strada. La neve è alta circa 15-20 cm.
Finalmente entro nel cuore della valle e mi si apre il solito meraviglioso panorama.
Sentite e vivete anche voi questi momenti.

Ma non è tutto surgelato questa mattina in Val San Nicolò. Anzi, c’è una zona in cui sembra ancora autunno e il sole scalda bene. Ecco il versante a sinistra della valle. Sono le 8.51.
Passo di fianco a quello che sono i segni del lavoro dell’uomo in questa valle: la fienagione e il pascolo.
D’estate e d’inverno c’è anche posto per il turismo, ma ora regna solo il silenzio.
Un sonnacchioso gatto delle nevi.
E poi i larici che ormai lasciano cadere ai loro piedi tutti i loro aghi dorati.
Ci sono state volte in cui venire qui con i larici ancora infuocati dei loro colori, mi ha tolto il fiato. Non ci credete? eccovi accontentati. Ottobre 2001.Ma torniamo a noi. E’ tempo di decidere che fare. Ho due scelte: andare alla mia sinistra verso il sole in cerca di camosci sui pendii là sopra…
… oppure a destra in ombra verso un laghetto che non ho mai visto.
Decido per la prima ipotesi e subito scorgo decine di tracce che partono da un pezzo grosso di sale lasciato per gli ungulati da qualcuno ai piedi di questa baita. l’obiettivo è arrivare sulle creste in alto, diretto senza usare sentieri dato che da qui la situazione sembra piuttosto agevole.
I segni del passaggio di camosci o caprioli è inequivocabile.
Sotto la neve ci sono ruscelli che ancora scorrono.
Lascio il sentiero ed entro nel bosco.
La neve intorno a me è sempre meno.
Sbuco al sole e mi spoglio. Meno di 20 minuti fa faceva decisamente freddo, ora sto sudando. Inizio a salire molto ripidamente tra gli abeti e i prati con un andamento frontale rispetto alla salita.
Non pensavo fosse così ripida la situazione. Però il percorso è agevole
Il sole scalda veramente bene e grazie a lui sento nell’aria i tipici odori del bosco, le resine degli alberi, l’aria pulita. Che meraviglia.
Proseguo facendo attenzione a non far rumore. Le tracce intorno a me sono ovunque.
In 40 minuti ad andatura molto tranquilla, salgo di 200 metri. Ecco come vedo il fondo valle.
Il pendio è sempre molto ripido e ad un certo punto incontro una strada forestale proprio sotto le mie scarpe. Ci sono anche due baite (deserte).
Beh, dico tra me e me, forse avrei potuto evitare tutta sta fatica risalendo fuori sentiero il ripido pendio e usare la strada, ma non mi sarei più divertito e sarebbe sparito anche il senso dell’avventura!
Mi riposo un attimo e nel frattempo mi guardo in giro. Ci sono scorci pazzescamente belli.
Guardo verso l’alto. Mi prefiggo di andare avanti verso quegli invitanti pratoni assolati. Sicuramente lì stanno riposando camosci, stambecchi o più difficilmente caprioli. Ecco il percorso che farò.
In alcuni tratti chiedo una vera e propria mano agli alberi per salire in tratti ripidi.
La pendenza aumenta sempre più, ma io voglio andare a sbattere il naso dentro quel blu lì sopra.
Passo accanto ai resti di una recente valanga.
Vado avanti e di animali per ora neppure l’ombra.
I prati umidi sono veramente molto pendenti da questo punto in poi. Inoltre si scivola perchè la neve ha schiacciato in giù i ciuffoni di questa pungentissima erba montana.
Volgo lo sguardo verso su e vedo due caprioli che sfrecciano verso destra.
Allora avevo ragione: sarà una giornata ricca di scatti! Proseguo verso su e della cresta nessun avvistamento. In compenso i prati sono sempre straripidi.Qui la neve ricomicia a comparire a chiazze. Siamo a quota 2300 metri ed evidentemente il sole scalda meno, oppure è caduta più neve.
Mi riposo e intanto faccio qualche scatto al Catinaccio d’Antermoia.
Dopo aver ripreso fiato, proseguo. Devo arrivare sopra e lì magari troverò un sentiero più semplice per tornare giù.
Sono sempre più alto e inizio ad innervosirmi perchè il terreno non è stabilissimo.
Ecco le pendenze alla mia destra…
e alla mia sinistra. Decido che non è proprio il caso di tornare indietro da qui e spero di trovare una via alternativa.
Salgo ancora tra questa maledetta erba che punge le mani e le chiazze di neve molle sparse qua e là. Sembra non manchi molto alla cresta lì sopra, ma non sono affatto tranquillo perchè non so da dove scenderò e che situazione troverò di sopra. Ma chi me l’ha fatto fare di salire qui?
Altri 10 minuti e arrivo in cresta. Mi rimetto il giubbotto che avevo tolto mezz’ora prima. Fa freddo. Sono grosso modo intorno ai 2400 metri e qui è tutta neve. So che dietro quella cresta mi si aprirà un panorama mozzafiato: distese di neve, Il Sassolungo a tutta vista, il Pordoi, il Sella, il Gran Vernel e la fine della Val di Fassa. Ma non sono troppo dell’umore giusto per godere di tutto ciò. Ecco il momento dello scollinamento.
Il versante sotto di me è esposto a nord e quindi ancora carico di neve. Laggiù tutti i monti più famosi della zona.
Il gruppo Sassolungo.
Un mega panorama ingrandibile che mostra la cresta sia alla mia sinistra che alla mia destra. Provate anche voi ad affacciarvi in questo incredibile posto. (l’ingrandimento sarà disponibile dopo il 5 dicembre. Scusate il disagio)
Riprendo fiato. Mi guardo a sinistra.
Sotto.
E a destra. Sono in mezzo ad un casino, perchè non è proprio il periodo giusto per stare qua sopra. Queste zone con la neve e senza attrezzatura adeguata possono trasformarsi in pericoli reali anche se il tempo è stabile e la visibilità buona. Controllo meglio alla mia destra e scorgo un sentiero poco più in basso. Sembra che scenda e quindi decido di andare a vedere. percorrerò la strada lungo la linea rossa. Prima però mi infilo le ghette che ho comprato la settimana scorsa per poter affrontare meglio la cresta nevosa che ho sotto i piedi. Mi metto anche i guanti di pile e parto. Affondo fino al ginocchio circa, però la neve sembra solida e compatta e non c’è il rischio di volare giù di sotto. Mi giro dopo alcuni passi. Là in fondo c’è il punto da cui sono partito a costeggiare la cresta.
Proseguo per il sentiero che in alcuni punti è innevato e bisogna stare attenti a non scivolare. Si farebbe un bel volo. Faccio due tornanti a scendere e il mio cuore si alleggerisce perchè scendere vuol dire essere più vicini a casa. Ma ad un certo punto intravedo delle funi metalliche che voglion dire una sola cosa: via ferrata.
Questa qui sopra è l’ultima foto che scatterò prima di aprire la cartina della zona e scoprire che sono all’inizio della via ferrata Lino Pederiva e proseguire mi sembra veramente una follia anche perchè sempre nella piantina della Kompass vedo crocette e una scala, ingredienti di una ferrata che con la neve può essere pericolosissima. L’unica cosa da fare è scendere direttamente come son salito. Sotto di me c’è un prato che ha una pendenza di 60° circa è una lunghezza di 40 metri, prima di piegare a destra e proseguire per altre decine e decine di metri fino ad arrivare a quota 2175 metri circa sotto di me. Una discesa di 230 metri da fare nel nulla, arrampicato all’erba pungente con grosse macchie di neve a complicare la cosa.
Sono le 12.18, metto via la digitale nello zaino per avere entrambi le mani libere, mi faccio coraggio e con una determinazione pazzesca metto il primo piede dietro di me calandomi di spalle. Impossibile usare altri sistemi. Cerco di tenermi saldissimo ai ciuffi d’erba e di mettere i piedi in fossette tra i ciuffi. Ho il fiato corto ma lentamente scendo. Per procedere guardo sotto le mie gambe per cercare appigli buoni. Ogni tanto mi fermo e controllo la direzione. Sotto di me vedo tre baite ma raggiungerle ci vorranno secoli.
Avanzo lentamente stringendo quell’erba pungente che più pungente non si può ma non ci faccio caso e scendo passo dopo passo. Mi dico che ogni passo fatto è un passo verso casa e sempre più in basso. Nonostante la forte inclinazione non scivolo mai, anche quando arrivo in zone in cui c’è neve. Cerco, se posso, di stare sempre sull’erba e di scegliere la zona di pendio meno ripida. Per arrivare alle baite ci impiegherò un’ora e venti minuti. A quel punto ritiro fuori la digitale e fotografo il percorso appena fatto. La cresta innevata da cui son partito, manco si vede. E’ troppo in su. Mi rendo conto che vista in foto la situazione sembra abbastanza semplice. Vi giuro che non lo è.
Finalmente alle 14.13 mi siedo e mangio. Scelgo il lato a sud di una delle baite.
Naturalmente non c’è anina viva. Apor lo zaino e tiro fuori le cibaglie. Imbottisco la ciabatta con il tonno. Vi giuro che mai pane e tonno mi son sembrati così buoni e gustosi come adesso. Durante il pranzo ripenso a quello che ho appena fatto e mi viene un pò di strizza, ma allo stesso tempo ora sono rilassatissimo. Il sole scalda di nuovo, mi spoglio e mangio tutto quello che mi capita a tiro. Finisco anche l’acqua della borraccia e sopperisco con due o tre boccate di neve fresca. Dopo mezz’ora parto per il fondo valle attraverso un sentiero che al confronto di ciò che ho passato in precedenza, mi sembra un autostrada. Incontro un ruscello e ne approfitto…
… per riempire la borraccia di nuovo.
Alle 14.445 sono di nuovo sul fondo della Val San Nicolò.
Che meraviglia camminare di nuovo in piano.
Mi guardo intorno. Il sole sta scendendo molto velocemente. Ecco Sass da Lastei (2500 metri).
Riprendo la strada verso la macchina. Ho i piedi zuppi e sono decisamente stanco. Se penso a quanti camosci e caprioli ho visto facendo tutta quella fatica, mi viene da ridere…
Cerco di ripercorrere visivamente la strada che ho fatto guardando verso la cresta, ma non è semplice individuare tutti i passaggi da qui. All’incirca dovrebbe essere così:
La Val San Nicolò si prepara ad andare a nanna anche stasera.
Il Col Ombert (2670 metri), conquistato da me il 2 settembre 2007.
Un HDR non troppo forzato della parte finale della Val San Nicolò.Che atmosfera meravigliosa.
E tempo di volgere gli ultimi sguardi a questo luogo che anche oggi mi ha fatto provare tante emozioni. E che emozioni!! Finalmente incontro anche due esseri umani. Sono due anziani con i loro bastoncini che tornano in paese.
Saluto la valletta e mi incammino per la strada innevata che mi porterà all’auto.
E’ tutto ghiacciato, devo stare attento.
Alle 14.40 arrivo all’auto sfinito. mi cambio le calzine zuppe e mi infilo in macchina. Ora sogno una doccia calda e un pò di relax.
(TPP) 2 ore e 30.